Nicolas Fouquet
Paul Morand, nato a Parigi nel 1888 e ivi morto nel 1976, è uno scrittore, diplomatico, accademico francese e grande viaggiatore. E’ considerato come uno dei padri dello “stile moderno” in letteratura. Autore di novelle e reportages, romanziere della modernità cosmopolita e mondana (Lewis et Irène, 1924; L’homme pressé, l941), fu testimone incisivo del mondo che ha navigato e osservato (Venises, 1971): infatti fu uno degli autori francesi più celebri nel mondo. Nel 1968 fu eletto membro dell’Académie française.
Nel suo romanzo, Il Sole offuscato, Fouquet e Luigi XIV– Potere e corruzione in un ritratto di inquietante attualità, Corbaccio, 1996, traccia i profili di due grandi personaggi, Fouquet e Luigi XIV, ma anche del mondo che ruota intorno a loro: la corte di Versailles, Mazzarino, Colbert e tanti altri.
La più grande sventura del sovrintendente è, senza alcun dubbio, d’essersi affermato accanto a Mazzarino, Paul Morand. (op. cit. p.15). Fouquet nasce in una famiglia di membri del Parlamento, non di parlamentari: suo padre è consigliere nei parlamenti di Rennes e di Parigi. Per parte di madre, discende da un’antica nobiltà di toga, i Maupeou; la sua casa è di elevata moralità: un padre nobile, collezionista d’antichità e di medaglie, una madre santa, quattro sorelle entrate in convento, un fratello arcivescovo, un altro vescovo. I suoi occhi giovani non vedono che esempi d’ onore, dapprima attorno a lui, poi nel parlamento di Parigi. L’ascesa del giovane è rapida. Ha sedici anni quando Richelieu, che conosce e apprezza il padre, lo manda come consigliere al parlamento di Metz. A venticinque anni è relatore dei ricorsi, a ventisette intendente dell’esercito del Nord. Quelle intendenze lo portano alla fine a Parigi ma, per sfortuna, il Grande Cardinale è morto e Fouquet passa al servizio del Piccolo. A quel punto, vive in seno alla corruzione più clamorosa, respira l’aria fine, ossia l’aria mefitica di un palazzo italiano, il palazzo Mazzarino. E’ fedele a Mazzarino, gran saltimbanco per natura (Retz), fino all’ultimo: Mazzarino, il Tentatore, il genio del male, è la causa prima della sua perdita, rovinando il suo protetto nell’animo del re. Da lui, Fouquet, non ancora trentenne, apprende il retroscena del mondo e la maniera di servirsene: eccolo contaminato per sempre. Fouquet è furiosamente alla moda, influente, le donne di lettere, le Preziose, vanno pazze per lui, ha inventato La Fontaine, Molière, Le Nôtre, Le Brun, Vatel, reinventa Corneille, dimenticato, tutti cedono al suo fascino e alle sue regalie. Fouquet è anche il tipo esatto dell’allievo parigino dei Gesuiti. A nuocergli e a tradirlo è anche il fratello maggiore, l’ abate Basile. Quale incantevole scivolone…Nicolas Fouquet, appassionato di storia e geografia, fonda il villaggio di Saint-Mandé attorno al suo castello (dove si trova la sua amata biblioteca ricevuta dal padre e che aumenta di molto) che si trova di fronte al castello di Vincennes dove risiedono Mazzarino e la regina reggente. Dappertutto si insedia all’ombra del potere non come Mazzarino che dorme in casa del re, ma quasi. Qui Fouquet vive circondato dalla “sua piccola accademia”. La sua preoccupazione di modestia, così vicino alla corte, è evidente. A Parigi, Fouquet acquista una casa dietro il palazzo Mazzarino; sceglie Vaux perché Fontainebleau è il soggiorno estivo più stabile di una corte itinerante. Fouquet aiuta Mazzarino a diventare l’uomo più ricco della Francia e del diciassettesimo secolo. Colbert gli rende innumerevoli favori, ma quel che occorre è la grande riserva delle finanze pubbliche e per questo ha bisogno di Fouquet il solo che può facilitare lo sfruttamento della Francia da parte di un furfante, per un furfante (Michelet). Ai tavoli da gioco, alla corte, non si paga mai in contanti, si firmano biglietti: le finanze francesi sono biglietti rinnovati e l’acrobata Fouquet diventa maestro di quel sistema, quando non c’è denaro, lo trova, s’impegna al di là della propria fortuna, impegna i suoi amici finanzieri. Si fa rimborsare certamente alla fine, ma non corre grandi rischi? Essere creditore di un re di Francia sempre a un pelo dalla rovina, durante la fronda, non giustifica grossi interessi? Fouquet nominato da Mazzarino sovrintendente delle finanze ha collocato presso di lui il Tesoro reale, si può dire che possiede l’erario. Ha molto più denaro del re: sale troppo in fretta. Le principali entrate del regno erano: la taglia, testatico, tributo fondiario, imposta mobiliare reale o personale, imposte dirette e fondiarie, riscatto del servizio militare; gli aiuti, imposte indirette sulla mercanzie, senza contare le tasse locali; la gabella, imposta sul sale; entrate occasionali, diritti sull’eredità delle cariche, ecc.; le tratte (dogane) e i cinque appalti generali delle imposte (dogane interne); il censo (canone annuale), la decima (diritto sulle terre agricole), il laudemio (volture), la decima del clero (bilancio ecclesiastico, i diritti sulle locazioni, le corvè e tasse feudali, ecc. Il segreto dei grandi profitti è nei riassegni-ricompense, Fouquet dà sempre in prestito allo stato, direttamente, oppure, in caso di estrema necessità, sotto altri nomi, sotto un falso nome, quel che fa si riduce in sostanza a riscontare le ricevute che la sua firma rivaluta. Fouquet insegna a Mazzarino (in finanza un ingenuo ignarissimo) i vantaggi, se non dell’onestà, delle scadenze onorate; perciò a Fouquet, che mantiene la parola, il denaro viene al momento opportuno. Fouquet ha molte attitudini e ancor più trascuratezza, ascolta placidamente, scrive bene e solitamente di notte, alla luce della candela, nel suo letto, stando a sedere, con le cortine chiuse: dice che la luce del sole lo distrae. S’incarica di tutto e pretende essere primo ministro senza perdere un istante dei suoi piaceri. Eccellente legista, è abile, esperto, vivo, sottile, intelligente ma nessuna circospezione né prudenza, nessuno sguardo prospettico, nessun lavoro sotterraneo d’ascolto, nessun avvenire nella mente. Vive senza preoccuparsi del temibile domani in cui trova sulla sua strada Luigi IV e Colbert: nemmeno per un istante indovina, nel giovane sovrano, il grande re. Muore Mazzarino, il Gran Secolo comincia. Il re esige obbedienza, non diventa in pochi istanti sovrano assoluto, un solo uomo ha capito il re, e sarà l’origine della sua fortuna: Colbert. Quanto al credulo Fouquet, rinchiuso nel suo ardore di vivere, non guarda a sufficienza la vita attorno a lui, né vede arrivare il fenomeno nuovo. Mazzarino ha fatto Luigi XIV, ha consigliato Colbert e sconsigliato Fouquet che detesta. Colbert raccoglierà tutte le idee di Fouquet: le operazioni sui redditi, sugli appalti, le agevolazioni della taglia, gli sgravi fiscali, le grandi manifatture, la politica navale e coloniale; in breve, tutte le idee e le vaste riforme che fanno la sua gloria postuma, le prende a Fouquet, come Luigi XIV gli prende i suoi poeti, i suoi libri. Colbert è avido e avaro, collerico, arrogante, malvagio e insocievole. Colbert è il Nord (Madame de Sévigné). Come perdonare a Fouquet la celebrità, il patrimonio, il fascino, il lavoro agile, la mente vivace, gli arazzi, i poeti e la biblioteca di cui Colbert non può neppure servirsi, avendo fatto modesti studi? Fouquet è un personaggio di Stendhal, Colbert di Balzac. Ma l’oscuro Colbert si impone al Re Sole e lo contamina con la sua bassezza. Accanto alla sovranità di diritto divino, occorre creare un’economia di diritto divino in cui i beni d’ogni suddito appartengano allo stato, ossia al re: Vaux deve appartenere al re. La magnificenza è vietata in un altro luogo che non sia Versailles: è vietato, quando non si è re, vivere da sovrano. All’apice del buon gusto c’è posto per un solo uomo, come sul trono. Lo splendore di Luigi XIV, man mano che s’innalza, s’adombra di quel sovrintendente a cui si dà del Monsignore. Vaux non è un castello, è un palazzo, le sue feste oscurano tutte le altre. Luigi gli prende tutto, lo rovina. Fouquet è odiato per le sue qualità. Fouquet invita il Re ad una festa a Vaux, vede in grande Vaux lo testimonia, non pensa che alla festa da dare per il re. Il 17 agosto, alle sei di sera, Fouquet è il re della Francia; alle due del mattino, non è più nulla. Vaux, opera di Le Vau, i cui giardini sono di Le Nôtre, batte Versailles di 5 anni. Fouquet non è un Luigi XIV prematuro? Tutto in quella notte, nel desiderio di piacere al re, esalta il suo orgoglio e il suo amore della vita. Luigi XIV teneva consiglio tutti i giorni e poi lavorava in segreto con Colbert (Voltaire). Quel lavoro segreto è l’origine della catastrofe di Fouquet…. Il re decide l’arresto del sovrintendente sin dalla festa di Vaux. Occorre tenere a mente la frase di Fouquet, nel momento in cui d’Artagnan lo acciuffa: Il re è certo il signore, ma avrei sperato per la sua gloria che avesse agito più apertamente con me. Fouquet non capisce perché il re ce l’ha con lui e non crede al suo imminente arresto, anzi è sicuro che ad essere arrestato sia Colbert, il re ha paura che fugga. Incomprensibile l’inerzia di Fouquet. E’ tanto malato? Ingannato dagli adulatori? Mal informato? Ignora l’estensione degli odi sollevati? Perché Fouquet non è fuggito? Tra lui e il re ci sono segreti che lo mettono, pensa, al riparo, ma Fouquet non parla mai. Si trova in carcere ad Angers: inizia un calvario di vent’anni, di prigione in torrione, di cella in segreta. Dappertutto i sigilli sono messi. Colbert è nominato controllore generale delle Finanze: lo è per ventidue anni, legato per sempre al re e a quella funzione. Nel frattempo, Mme Fouquet è relegata a Limoges, i figli, abbandonati, non sono restituiti alla nonna che dietro l’intervento di Anna d’Austria. Gli amici o in prigione o fuggiti. D’ora in poi Fouquet continua a essere trasferito di città in città. E’ alla Bastiglia, non senza aver corso d’essere fatto a pezzi a Tours sicché dovette prendere la strada alle tre del mattino. Niente impedisce al cieco Fouquet di riporre la sua fiducia nel re; non comprende che Luigi XIV e Colbert fanno tutt’uno. Ama il re, vede in lui un arbitro mentre è parte in causa e interessata. Durante il processo, Fouquet ha dei riguardi per il re, ma il re rifiuta ogni contatto diretto, dice alla madre di non chiedergli mai la sua grazia e che, se è condannato a morte, lo lascia morire. Luigi XIV fa di tutto per uccidere il suo ex sovrintendente, perché venga condannato a morte. Mentre Fouquet ripone le sue speranze nel re, tutti i suoi sogni d’amante della bellezza crollano. Tutti gli artisti e gli artigiani passano al re che prende tutto e tutti. Colbert cerca la prova di un’eventuale ribellione di Fouquet. Da molto tempo ha subodorato una cospirazione bretone: dietro uno specchio a Saint-Mandé scopre il vecchio piano delle fortificazioni, accompagnato da istruzioni da eseguire solo in caso di disgrazia. Mme du Plessis-Bellière si accorda con i governatori bretoni che si rinchiudono nelle loro piazzeforti. Questo piano, sorpassato, dimenticato, che non ha mai avuto l’ombra di un inizio d’esecuzione, è il pezzo forte dell’accusa architettata contro il sovrintendente. All’inizio del processo, si ottiene l’unanimità contro il sovrintendente: troppe ricchezze, troppe ruberie. Ma, davanti alle vistose irregolarità del procedimenti, in realtà Fouquet è acclamato. Il re ha paura di vedere il regno, ancora malsicuro dopo la Fronda, dissolversi, perdere una Bretagna e una Normandia fatte insorgere dal ribelle Fouquet. Fouquet passa sei prigioni prima di arrivare alla Bastiglia, sotto la sorveglianza di d’Artagnan. Dapprima inerte, in preda a quella stessa apatia che stupisce al tempo del suo arresto, Fouquet riprende il controllo di sé. Il processo diventa una manifestazione contro il potere assoluto: Fouquet fa emergere irregolarità, accusa Colbert di aver falsificato le pratiche e fatte sparire milleduecento lettere di Mazzarino e trecento biglietti di Colbert e di Berryer. Gli amici fanno circolare il libello delle sue Défenses, immediatamente celebre, in cui Fouquet, facendosi contemporaneamente giudice e parte in causa, comincia con l’accusarsi di delitto di stato e di malversazioni finanziarie, per assumere poi la difesa e ridurre a niente ogni accusa. Colbert lo fa trasferire vicino a Fontainebleau e alla corte quindi impossibile conferire con i propri avvocati. Torna alla Bastiglia. Tutti i letterati stanno con Fouquet: alla fine è salvo, scampa alla morte, ma ha la prigione a vita. Sempre accompagnato da d’Artagnan, Fouquet arriva alla fortezza di Pinerolo in Piemonte: non rivede più la famiglia. Né passeggiate, né visite, né carta, né inchiostro. Solo un confessore. Da Pinerolo è trasferito alla Perusa, opera in fase avanzata della fortezza: vi trascorre un anno, perquisito ogni giorno, mentre scrive sul suo fazzoletto, sui suoi nastri, che finirono con il dargli neri. Così Fouquet, senza medico, senza vista, senza libri, senza passeggiate, senza notizie, i due camerieri che non comunicano con l’esterno, si ammala. Un altro medico è rifiutato, il re, che si è impadronito delle ricchezze di Fouquet, accorda con difficoltà un abito invernale al prigioniero che trema. Cambiano costantemente i suoi camerieri. Dopo il ritorno a Pinerolo, gli è concesso qualche libro di preghiera e un dizionario di rime. E’ l’inizio di esercizi spirituali: inverni dai venti gelati, estati infuocate, resiste per diciotto anni. Verso la fine del 1670, sembra che alcuni amici tentino di farlo evadere, ma c’è ritorsione e, dopo dieci anni di cattività, la sorveglianza è più rigorosa che mai. Per quattro anni Fouquet riceve la visita dell’inquilino del piano disopra che scende attraverso il camino, il conte di Lauzun grazie al quale Fouquet rivive. La famiglia Fouquet arriva a Pinerolo nel 1679. Lauzun ha una storia con la figlia di Fouquet. Il re accorda la libertà a Fouquet e l’autorizzazione a recarsi alle acque termali di Bourbon, allorché cade fulminato fra le braccia di suo figlio, dopo convulsioni e nausee, senza poter vomitare (Mme de Sévigné) all’età di sessantacinque anni. La Gazette de France non consacra alla sua morte che due righe.
Fausta Genziana Le Piane
Paul Morand, Il Sole Offuscato, Corbaccio, 1996