Allora Picasso interrogò acutamente l’universo. Si abituò all’immensa luce della profondità. E talvolta non disdegnò dal fare uso di oggetti reali, una canzone da due soldi, un francobollo vero, un pezzo di tela cerata con impressa la paglia intrecciata di una sedia. L’arte del pittore non tenterebbe di aggiungere un solo elemento pittorico alla verità di questi oggetti. La sorpresa ride selvaggiamente nella purezza della luce, ed è perfettamente legittimo usare numeri e lettere stampate come elementi pittorici, nuovi nell’arte e già pregni di umanità.
È possibile prevedere tutte le conseguenze e le possibilità di un’arte tanto profonda e minuziosa. L’oggetto, reale o presentato con il trompe-l’oeil, è indubbiamente chiamato a sostenere un ruolo sempre più importante. L’oggetto è la cornice interna del quadro e ne segna i limiti di profondità come la cornice esterna ne segna i limiti esterni.
Raffigurando piani per indicare i volumi, Picasso dà una così completa e decisa enumerazione dei diversi elementi che compongono l’oggetto, che questi non assumono la conformazione dell’oggetto. Ciò è in gran parte dovuto al lavoro dello spettatore (…).
Quest’arte è profonda più che elevata? Essa non può fare a meno di osservare la natura, e agisce su di noi con la stessa intimità (…).
(Metà 1912).